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Marco, architetto e musicista svizzero dalle radici collesi

Originario della frazione di Pallua, Marco Pallua è ora un affermato architetto che opera in tutto il territorio svizzero. Nato a Padova nel 1962, Marco ebbe già da piccolo una vita movimentata: prima il trasferimento dalla casa vecchia di Pallua a qualla più confortevole e nuova; successivamente, all’età di 10 anni, l’emigrazione in Svizzera. Una decisione questa che non prese di sua volontà ma che fu conseguenza del lavoro che lì avevano trovato la madre ed altri suoi zii. Sino a quel momento Marco aveva visuto a Colle assieme a tutti i suoi compagni e amici con le cure dei nonni Rodolfo e Filomena. “Ricordo felicemente le corse con la slitta fino al caselo per portare il latte – ci racconta Marco – ma pure tutta la neve che abbiamo versato nelle “zume” per mascherare il latte che inavvertitamente avevamo rovesciato lungo il tragitto. Mi ricordo dei prati da rastrellare e dei mestieri che c’erano sempre da fare quando si tornava a casa da scuola”. La Svizzera non gli era però estranea; tutte le estati trascorreva infatti lì le vacanze, vicino a Locarno, in compagnia dei parenti. Quando però, alla fine delle elementari, arrivò il momento di trasferirsi, Marco lasciò Colle con grande nostalgia: non sapeva però che lo aspettava un futuro si ricco di sacrifici, ma anche di enormi soddifazioni che, se fosse rimasto a Colle, probabilmente non avrebbe potuto ottenere.

Da falegname ad architetto
Subito, appena arrivato, Marco si trovò davanti al dilemma su che scuola frequentare. Diversamente dal sistema scolastico italiano, la Svizzera prevedeva infatti dopo le elementari la scelta tra un percorso professionale e il ginnasio; la scelta del giovane cadde su quast’ultimo. Dopo due anni di scuola arrivò la decisione di intraprendere un apprendistato da falegname. “Lì ho imparato il sacrificio che comporta alzarsi ogni mattina alle 06.00, lavorare 10 ore e arrivare a sera con le mani sfinite – ci racconta Marco – un’esperienza che sicuramente mi ha forgiato il carattere e mi ha fatto capire l’importanza e il valore del lavoro”. L’esperienza pratica maturata in questo periodo aveva fatto crescere in lui un certo interesse per il disegno e l’arredo ma non c’erano nè il mercato nè le scuole adatte per diventare architetto. “Non era sentita come professione e non se ne percepiva il bisogno – continua nel racconto – Frequentai 4 anni di scuola superiore per acquisire competenze nella conduzione dei lavori e nell’organizzazione dei cantieri miste a quelle di un geometra e di un architetto e trovai subito lavoro in uno studio dove c’erano 10 dipendenti e mi occupavo della direzione lavori”. Questa mansione permise a Marco di apprendere tutte le procedure dei progetti, di sapersi arrangiare con tutto, e tali conoscenze gli diedero l’opportunità nel 2000 di aprire un proprio studio. Congiuntamente a ciò, iniziarono le prime valutazioni se tentare o meno l’esame da architetto professionista, esame che ha sostenuto in lingua francese e superato brillanrìtemente nel 2013 a Berna davanti a una commissione di 15 architetti davanti ai quali ha presentato alcune tesi e tanti lavori che aveva eseguito, conseguendo così la qualifica più alta della sua categoria. “L’aver operato per una decina d’anni nella commissione del paesaggio ticinese mi ha aiutato moltissimo – dice Marco – soprattutto per dare alla formazione prettamente pratica che avevo anche una parte squisitamente accademica. Il raggiungimento di questo traguardo mi ha permesso, anche se tutti i clienti erano già soddisfatti del mio lavoro, di acquisire ancora maggior credibilità”. Attualmente Marco e i suoi 4 collaboratori si occupano sia di lavori pubblici che privati. La loro filosofia è seguire un cantiere in tutte le sue fasi, dalla progettazione fino alla consegna passando per la direzione dei lavori. Questa è una sostanziale diffrenza rispetto al sistema italiano dove vi sono più professionalità coinvolte nelle varie fasi del cantiere. “Lavoro qui ce n’è ancora – dice Marco – ma non nascondo che non mi dispiacerebbe il confronto con altre realtà per poter applicare le mie conoscenze anche all’estero”. Marco ci racconta ancora delle difficoltà insorte negli ultimi anni nella gestione dei cantieri, dettate perlopiù dalle difficoltà comunicative che sussistono tra la direzione dei lavori e operai che nella maggior parte dei casi sono stranieri e non conoscono la lingua. “Dalla manodopera mediterranea siamo ora passati a qualla dell’ex jugoslavia e dell’est Europa – ci racconta – e questo crea spesso problemi di comunicazione. La velocità delle comunicazioni e delle decisioni alle quali siamo sottoposti oggi ci porta infatti a dover dare risposte veloci e risolutive a scapito di un’attenta riflessione che il più delle volte sarebbe consigliabile; e questi fattori messi assieme protano ad un impoverimento della qualità lavorativa. È un lavoro sempre molto impegnativo, con la differenza che ora è più logorante”.

La passione per la musica
Oltre che architetto, Marco è anche musicista. La sua passione per la musica nacque ancora nella vecchia casa di Colle: lì, rinchiuso in una stanza col giradischi, ascoltava per ore musica di tutti i generi e poi, una volta arrivato in Svizzera, continuò a coltivare quasta sua passione. La seconda ginnasio fu per lui un momento di svolta: lui asieme ad altri amici si unirono e formarono una piccola band che si fece conoscere e le cui esibizioni divennero nel corso di poco tempo richieste e molto apprezzate a Bellinzona e dintorni. “Le Bratte”, nome dato loro dal pizzaiolo calabrese che c’era nel locale dove si esibivano, divennero ospiti fissi della domenica pomeriggio della balera “La Palma” e ogni settimana 300 persone tra giovani e anziani si ritrovavano lì per ballare e passare un pomeriggio in allegria. Il pizzaiolo infatti, equiparandoli ai Beatles, aveva dato loro un nome dal medesimo significato (scarafaggio) nella sua lingua madre, il calabrese. Le loro esibizioni arrivarono in tv e in radio e, sebbene poi l’età portò ognuno per la propria strada, Marco proseguì attivamente il suo percorso musicale fino ad arrivare all’attuale progetto dei “Blues Guitars”. “È un progetto nel quale io sono l’elemento “fisso” – ci racconta Marco – nel quale in base alla disponibilità dei singoli si alternano vicino a me altri 10 artisti di fama europea come Marco Marchi e Oscar Trabucchi. Teniamo concerti in tutta la Svizzera e, quando si parte, il primo scopo è quello di divertirsi”. Lo scopo di Marco non è infatti soddisfare semplicemente questo suo hobby, ma trasmetterlo anche alla gente. Per questo ha recentemente organizzato degli workshop per far conoscere l attività dei “Blue Guitars” e, assieme al comitato Chitarre ai Castelli di cui è fondatore e presidente, si proprone di diffondere tra la gente una cultura musicale globale, distinta da stili e generi musicali.

La sua visione dell’architettura e della formazione
“Un architetto è secondo me capace non perchè è riconoscibile dallo stile col quale opera ma perchè sa essere vincente e adatto nei diversi ambienti in cui opera, di qualunqua natura essi siano – racconta Marco – I problemi, anche urbanistici, devono essere affrontati con criterio ed è necesario interagire col contesto e non forzarlo con propri stili o idee precostituite. Io personalmente infatti non ho nessun “grande” dell’architettura come riferimento, cerco da ogni situazione di estrarre il meglio possibile; credo infatti che la nostra professione comporti anche una sorta di responsabilità paesaggistica”. Una passione, una dedizione davvero esemplari, che hanno portato Marco molto in alto, a raggiungere grandi obiettivi. “Il mio spirito indipendente mi ha portato a maturare delle scelte non scontate, a compiere un percorso di vita e scolastico su cui molti non avrebbero scommesso. Molti giovani, a causa anche di come vengono formati, arrivano ora sul posto di lavoro con minime cognizioni pratiche; per questo non disdico assolutamente la scelta di chi opta per la scuola – lavoro, l’importante è fare le cose con voglia e costanza”. E, quando gli chiediamo quando pensa di tornare a Colle, Marco ci dice così: “Spesso vengo a sciare nelle Dolomiti e quando ci sono le feste di classe esserci è fondamentale! In ogni caso porto Colle nel cuore con la gastronomia. Assporo spesso ancora volentieri balote e casunziei, di solito mia madre o qualche mia zia li prepara per tutti”. Alla fine di questa chiacchierata, un consiglio si sente di dare ai giovani. “Non deve esistere il “Non sono capace” ma il “Ci provo e metto il massimo”. (Giulia Tasser)